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Renato Travaglia, la vita è una prova speciale

Da bambino passava ore all’interno della macchina del papà. Affascinato dal volante, pedali e cambio. Renato Travaglia è nato con la passione dei motori. L’esordio avviene nel 1987 quando, appena ventiduenne, con la scusa di andare a vedere una gara decide di mettersi al volante (la famiglia era all’oscuro), con al fianco la fidanzata. Renato e Manuela, poi diventata sua moglie, si presentano, con una Opel Corsa di terza mano piena di gomme e ricambi, ad Asiago. Gli addetti ai lavori non vogliono lasciarlo entrare nel parco chiuso. La sua vettura sembra un pesce fuor d’acqua in mezzo a quelle dei professionisti. Ma il battesimo delle quattro ruote promette bene. L’equipaggio di Cavedine, nonostante un’uscita di strada, chiude al secondo posto di classe ed a 1”5 dal primo classificato, vincendo quasi tutte le prove speciali di categoria. Hanno rischiato, si sono buttati e non si sono più fermati.

Dal Comune all’abitacolo
Renato è sempre stato uno sportivo, cresciuto seguendo in tv qualsiasi tipo di competizione automobilistica. Da ragazzo pratica molti sport a livello agonistico, ma sono le quattro ruote a prendere il sopravvento. Impiegato come ragioniere nel Comune di Cavedine, si licenzia nel 1992, dopo la prima vittoria assoluta all’Alpi Orientali, a bordo della BMW M3 di gruppo A. “Voglio pensare solo a correre”. Al tempo l’automobilismo è ancora uno sport d’elite, privo di una profonda tradizione a livello regionale, poco praticato e soprattutto molto costoso. Il primo anno dopo il licenziamento le cose non vanno affatto bene. I ripensamenti sono tantissimi, ma Renato non molla, anzi è uno stimolo per fare meglio. Assieme a Manuela cresce la voglia di vittoria e, grazie agli incentivi ricevuti dalle case automobilistiche e investendo i propri stipendi, i due vanno avanti, fino al ’92, quando arriva la prima figlia, Selene. A quel punto la coppia decide di dividersi, ma solo sul campo di gara, con Manuela sempre in prima linea a seguire l’avventura del marito. L’ascesa di “Renauto” continua. È tenace, pignolo, meticoloso. Non molla mai. Quando le difficoltà aumentano, cresce la grinta, la voglia di ottenere sempre di più. Da qui in avanti la sua storia è quella di un campione in continua ascesa, costellata di 61 splendide vittorie assolute, otto titoli tricolore e due europei. Ma non solo.

Non solo corse
Pilota talmente riservato e concentrato in gara da apparire introverso, fuori dal mondo delle corse è un uomo generoso, spiritoso, sensibile, dotato di forte ironia e, soprattutto, schietto. Sempre pronto a concedersi con calore ai propri tifosi, dei quali comprende i sogni. “Sono 24 anni che corro. Ci sono stati momenti in cui ho vinto tanto e altri dove ho vinto meno. Ma i miei fan sono sempre fedeli, gentili. Sacrificano tempo libero per venire a sostenermi e per questo è giusto gratificarli con dei risultati, se si può, o anche con delle semplici strette di mano”. Chi lo conosce sa che è un campione anche fuori dall’abitacolo e, prima di tutto, un uomo come gli altri, che è riuscito a fare della sua più grande passione un lavoro. Quando non corre, la giornata di Renato Travaglia è fatta sì di allenamento, ma non solo. Proprietario di un’azienda agricola, ama lavorare nei campi, tagliare legna nel bosco e, ovviamente, dedicarsi alla famiglia. “Il mio lavoro non è solo fare gare. Essere un pilota professionista significa anche dedicarsi alle pubbliche relazioni, prendere parte a conferenze e così via. Le gare mi occupano tempo perché sono lunghe e durano mediamente due giorni. La verità è che nel mio lavoro viaggio molto e quando sono in giro non vedo l’ora di tornare a casa”.

Renato Travaglia e i giovani
A casa appunto, dove ad aspettarlo ci sono Manuela, e i due figli, di 20 e 17 anni, entrambi studenti. A loro, il pilota trentino e la moglie cercano di trasmettere la mentalità che li ha sempre accompagnati. “Fare le cose bene, essere molto pignoli e impegnarsi nella vita”. Il giovane Aronne ha da poco scoperto anche lui la passione per i motori, ma ha molti interessi anche in altri campi, come lo sci. La frenesia di provare un mezzo meccanico lo accompagna da qualche tempo ma il padre non ama spingerlo. “Credo che per fare un’attività sportiva si debba essere davvero appassionati e mettere in conto dei sacrifici. Nel momento in cui mio figlio mi dimostrerà questo io lo aiuterò al 100 per cento. Non bisogna costringerli a fare le cose. In giro si vedono tante situazioni di genitori che scaricano le proprie frustrazioni cercando nei figli quello che loro avrebbero voluto essere. In questo modo non dai loro l’opportunità di divertirsi. Ogni età ha le sue esigenze. Quando si è piccoli bisogna giocare, lo sport e l’agonismo devono venire dopo ed essere frutto di una passione”. Il rapporto con i giovani è una costante nella vita e nella carriera di Renato che sovente è invitato nelle scuole per parlare di sicurezza. E anche in questo caso ipnotizza la platea. Quando sale in cattedra cerca di tramandare alle nuove generazioni i valori che lo hanno distinto e aiutato ad arrivare dove si trova ora. Non scoraggiarsi è il suo dictat, in un mondo dove oggi, specialmente nello sport, “manca la capacità di sapersi mettere in discussione, dando la colpa alle gomme, alla macchina, alla sfortuna... Invece bisogna sempre imparare ed essere modesti. È un modo per progredire e andare avanti”.

Donne e motori
Renato Travaglia ha esordito al fianco di una navigatrice, diventata poi sua moglie. Abituato ad essere capito al volo, non solo al volante, anche ora che sono passati vent’anni, Renato parla della sua Manuela come di un’ottima professionista, anch’essa interprete di successo in un mondo duro e maschile. Gli equipaggi tutti al femminile sono rari. “Per guidare serve più forza. Lo vedo uno sport un po’ più maschile, ma questo non toglie che se una donna è brava e vuole provarci lo può fare tranquillamente. Nel rally ci sono per lo più navigatrici: bisogna essere molto pignoli, ordinati, e loro rispecchiano al meglio questa tipologia. Sanno essere davvero delle eccellenze, anche se non dobbiamo dimenticarci di piloti del calibro di Michèle Mouton,una delle donne più vincenti della storia dell’automobilismo “.

Una vita per i rally
Venticinque anni di carriera per un pilota veloce, pignolo e molto grintoso, come lui stesso si definisce. Ma ha mai pensato di abbandonare i rally per altre discipline?
“Ho corso, vincendo, il Rally di Monza, però è una cosa diversa. Quando sei in pista combatti per poco più di un’ora, se pensiamo alla Formula 1 ancora meno. Le curve sono sempre le stesse, ci sono gli avversari, la bagarre. Nei rally corri per due giorni e lo fai contro te stesso, in più hai bisogno del navigatore perché non puoi ricordare il percorso da solo. Devi ascoltarlo, fidarti e interpretarlo in una frazione di secondo continuando ad andare al limite… Il fascino di questo sport non ha paragoni. È sicuramente più duro, ma meno noioso”.
Un cacciatore di emozioni, che ancora è capace di regalarne altrettante ai suoi numerosissimi tifosi e che non vuole rinunciare all’adrenalina del momento per lui più bello e importante: 3,2,1 via… il brivido delle prove speciali! “Lì mi sento a mio agio. Io sono un montanaro, una persona riservata, abituata al concreto e in questo lavoro spesso devi relazionarti con altre persone anche quando non ne avresti voglia. Non è sempre facile, ma quando mi metto al volante per la prova speciale siamo io, la macchina e il mio navigatore. Io contro me stesso. Io al 100 per cento. Entro, e dimentico tutto”.
E la paura?
“Bisogna sempre aver paura perché è uno sport molto pericoloso, anche più della Formula 1. In due occasioni ho messo le mani davanti agli occhi perché pensavo di andare contro gli alberi, ma ho avuto fortuna. Tante altre volte sono uscito di strada ma non ho trovato ostacoli. Sono stato molto fortunato”.

La vittoria più bella
Tanta fortuna ma anche tanta gloria, in una carriera costellata di successi e vittorie, talmente tante che a Renato piace pensare che la più bella deve ancora arrivare. Ma se dovesse scegliere?
“2009. Rally Alpi Orientali. Da pilota privato sono riuscito a vincere davanti agli ufficiali, cosa molto difficile vista la nostra inferiorità in termini di allenamento, vettura e tecnologie. È stata una gara molto difficile ma grazie alla nostra esperienza e caparbietà ce l’abbiamo fatta”.

Il complimento indimenticabile
Quando uno nasce vincente c’è poco da fare. Quando uno è “un maestro” non resta che inchinarsi. Questo infatti è il complimento più bello che Renato ricorda, ricevuto durante una gara in Repubblica Ceca. Un uomo, che l’aveva visto correre, si è presentato personalmente in hotel solo per dirgli queste parole. “Ho scoperto dopo che era un campione di rally polacco. Mi ricorderò questo complimento per tutta la vita”.
All’età di 46 anni Renato Travaglia continua a regalare emozioni uniche e a vincere, vincere ancora. Fino a quando? “Finché mi sento competitivo continuo, sponsor permettendo. Quando ci sarà qualche giovane che va più forte di me allora ci penseremo. Può darsi che sia anche domani o che sia stato l’altro ieri…”.

Per ora la storia continua.

Autore
Nina Stefenelli
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