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Gottardi annuncia il suo ritiro dalle corse

Walter Gottardi smette di gareggiare. Lo dice con un nodo alla gola, ma i nuovi regolamenti impongono stravolgimenti sulla sua GiPi Sport 1600 che potrebbero snaturare sia le prestazioni della sua biposto sport sia pregiudicare la sicurezza. Per lui, innamorato della Trento – Bondone, è una decisione decisamente sofferta.

I motivi del ritiro
“Ho deciso di andare in pensione, non per raggiungimento del limite di età, anzi fisicamente mi sento molto bene e la passione è ancora tanta, forse troppa e per questo ne soffro molto. Sono giunto a questa decisione dopo aver letto le nuove normative decise il 10 marzo 2020 dalla Giunta Sportiva di Aci Sport, non dalla Commissione Salita che ci rappresenta e che aveva espresso formalmente delle perplessità. Una protesta, per regolamenti discriminanti e contradditori. Dovrei applicare scivoli o pattini laterali in legno e bucare la scocca della vettura. Ciò compromette la struttura del telaio, ma non solo. In questo modo la vettura s’alza maggiormente da terra e pilotarla diventa pericoloso. La mia GiPi Sport del 1981 spinta da un propulsore Honda 1600, con una potenza a 180 cv e cambio Hewland MK8/9 a 5 marce con innesti diretti ad H, non disporrebbe più dell’assetto originale e tutto sarebbe distorto. Queste scelte, per rallentare la velocità, dovrebbero essere prese ed attuate da piloti. Mi dispiace enormemente, ma è un fatto di principio”.

Il driver trentino, portacolori della Scuderia Destra 4, ha partecipato a ventidue edizioni della cronoscalata trentina e quest’anno non sarà schierato allo start. Sicuramente non s’allontana dal mondo dei motori, visto che è parte attiva nell’organizzazione della gara.

Com’è nata la passione delle cronoscalate?
“A sei anni ho visto la prima gara e fui affascinato, mentre, e non lo dimenticherò mai, il 13 luglio 1969 ero all’arrivo a Vason. Avevo dieci anni e m’intrufolai nel Parco Chiuso sino alla Ferrari 212 E del pilota ufficiale Peter Schetty. Sono salito a bordo ed arrivavo a malapena ai pedali. Un momento fantastico. Ricordo il numero del telaio, era 0862 ed il profumo dell’olio di ricino. Fino a quando un carabiniere mi ordinò immediatamente di scendere. Da quell’istante decisi che prima o poi avrei guidato una vettura sport”.

L’esordio?
”Nel ’97 all’Alpe del Nevegal con la Citroen Ax Sport 1300 in Gruppo N grazie all’amico Marco Zanella. L’anno dopo acquistai il mio prototipo. Un sogno realizzato a 37 anni ed in ogni gara volutamente mi sono accontentato di partecipare senza cercare la massima performance”.

Come è il Bondone?
“Allo start sono freddo, concentrato. Gareggio ed ogni volta provo una sensazione di libertà. Mi sento parte della natura che ho attraversato con la mia Lucy (la vettura sport ndr). Un orgia di suoni e di colori”.

Qualche aneddoto particolare che ricorda con piacere?
“Uno in particolare. Mi pare fosse il 2010. Ero all’area Zuffo per destinare i posti ai team. Giornata storta, dove tutti si lamentavano. Mauro Nesti mi prese sottobraccio e mi disse che m’avrebbe accompagnato sul tracciato per conoscere trucchi e traiettorie. Il nove volte vincitore della gara percorse i 17 chilometri ed affrontò i 43 tornanti lentamente. Mi spiegò ogni singolo pezzo del percorso ed in prova abbassai il crono di 25” rispetto all’anno prima. È stato un regalo fantastico”.

Insomma, si ferma
“Ho così deciso perché non ho intenzione di stravolgere questa bellissima vettura del 1981, costruita da due persone meravigliose quali Eugenio "Gianni" Parisotto e Silvano Grassi. Gente di altri tempi, quando bastava una stretta di mano ed una sola parola che valeva mille firme dei giorni nostri. Una vettura di 39 anni arrivata fin qui in condizioni stupende, tenuta e "coccolata" costantemente a testimonianza della validità di questo progetto tutto italiano. Una vettura da corsa prototipo che in certe gare, con i giusti rapporti può arrivare a sfiorare i 200 chilometri orari. Un vero gioiellino per gli addetti ai lavori e per chi la conosce. È una follia quello che vogliono imporre. Avrei potuto continuare convertendola in vettura storica ma l'iter per ottenere il "famigerato" HTP (Historic Tecnical Passport) è irto di insidie, tempi biblici e pratiche burocratiche che non si è mai certi vadano a buon fine. Pazienza, posso dire che almeno ho realizzato il sogno di un bambino che all'età di 10 anni, nel lontano luglio del 1969 "decise" di fare il pilota e mi ritengo fortunato perché ho realizzato il mio sogno. Non solo, ma ho avuto l'opportunità di conoscere tante persone fantastiche. Grandi campioni come Mauro Nesti, Franz Tschager, Pasquale Irlando, Rosario Iaquinta, Christian Merli, Simone Faggioli, Federico Liber, Franco Cinelli, Diego Degasperi, Claudio Gullo, Georg e Fabio Danti, Gabriella Pedroni, Rudi Bicciato, Horatiu Ionescu Cristea, Manuel Dondi, Fausto Bormolini, Adolfo Bottura, per citarne alcuni ma soprattutto tanti nuovi amici appassionati che seguono noi piloti in tutte le gare. Grazie di cuore a Sandro Lipparini, il mio primo vero maestro ed alla Scuderia D4 di Rovereto per la quale ho corso dal 1998 ad oggi. Per ultimi, ma solo perché li ho a cuore in maniera speciale, grazie a quelle persone che nei tre giorni di gara sono sempre vicine. Sono quelle persone che prima di ogni partenza mi hanno stretto la mano, mi hanno dato il fatidico "in bocca al lupo" con una pacca sulla spalla che in quel momento per me è una carezza e allo stesso tempo una spinta che mi porto fino alla bandiera a scacchi: Lucia Guido, Daniel Ardai, Luigi Girardi, Nadia Conati, e l'ultimo, veramente una persona speciale, che non è solo il mio assistente ma un grande amico: Nelu Ardai. Un ragazzo rumeno che non so come ringraziare per la sua grande passione, i sacrifici ed il tempo che ha dedicato a me e alla GiPi. Grazie davvero con tutto il mio cuore, Nelu. Comunque ci rivediamo in qualche paddock o seduti su di un muretto in tutta sicurezza per vedere quei "pazzi"che pennellano le curve in montagna”.

E le autostoriche?
“Si vedrà”.

Autore
Maurizio Frassoni
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